Sviluppo Di Nuove Tecniche e Metodologie Ottiche Per Biologia Di Base E Applicazioni Biomediche

Il termine “biopsia ottica” identifica l’insieme di procedure diagnostiche basate sull’interazione della luce con i substrati biologici e sul loro contenuto di biomolecole che agiscono come fluorofori endogeni a seguito di eccitazione con luce di lunghezza d’onda adeguata.

L’emissione globale di autofluorescenza di cellule, tessuti e fluidi dipende infatti da tipo, quantità e microambiente dei fluorofori endogeni presenti, e dalle loro variazioni negli stati alterati o patologici. Di conseguenza, l’analisi del segnale di autofluorescenza può fornire in tempo reale informazioni con valenza diagnostica, in assenza di uso di marcatori esterni (label free).

Il fegato provvede a molteplici attività metaboliche, cataboliche e di mantenimento dell’omeostasi sistemica di nutrienti e micronutrienti, che coinvolgono numerosi fluorofori endogeni. La diversa distribuzione nel tessuto e di proprietà spettrali di emissione dei vari fluorofori permette di apprezzare sia l’organizzazione istologica che la composizione biochimica del fegato, mediante procedure di analisi di immagine e  spettrale

L’interazione della luce con un substrato biologico risulta in diversi fenomeni ottici, tra cui la fluorescenza

Il contrasto tra le aree citoplasmatiche blu ( NADH) e giallastre (lipofuscine) e le strutture reticolari con fluorescenza più brillante (proteine fibrose) permette di riconoscere i cordoni di epatociti che convergono verso la vena centrolobulare (c) nel parenchima normale, e la disorganizzazione del parenchima con  accumulo di collagene periportale (p) nell’insorgenza di fibrosi. Nel fegato grasso, o steatotico, l’accumulo di gocce lipidiche è ben evidenziato dal loro contenuto in vitamina A e acidi grassi, altamente fluorescenti.

Le diverse proprietà spettrali dei vari fluorofori del fegato sono identificate da funzioni spettrali, sulle quali è basata l’analisi di fitting per la stima del contributo relativo di ogni fluoroforo all’emissione globale di autofluorescenza, similmente ad un’analisi biochimica in situ.

Immagini e spettri sono ottenuti per eccitazione a 366 nm.

Sezione criostatica di tessuto epatico normale

L’analisi di autofluorescenza offre così molteplici possibilità di applicazione, dal monitoraggio in tempo reale della funzionalità del fegato in chirurgia e nel trapianto, con i fluorofori NAD(P)H e flavine quali biomarcatori del metabolismo energetico e delle sue alterazioni, alla automazione della diagnosi istologica di biopsie epatiche. In questo caso, oltre a NAD(P)H e flavine, anche il segnale di emissione di collagene e i lipopigmenti è sfruttato per lo sviluppo di metodiche per la preselezione veloce di casi da avviare all’analisi convenzionale dell’anatomopatologo per la conferma di diagnosi di progressione di disordine epatico, dal fegato grasso a patologia più severa (epatocarcinoma).

La crescente richiesta di procedure di diagnosi non invasive con l’ampliamento dei “pannelli” di biomarcatori sierici in epatologia e più in generale nello studio e terapia di disordini metabolici sistemici ha volto l’attenzione all’autofluorescenza del siero, particolarmente promettente per vari motivi: i) il ruolo del fegato nell’accumulo e mobilizzazione nel sangue di retinolo e lipidi, con particolare importanza per alcuni acidi grassi liberi, quali acido arachidonico, linoleico e oleico; ii) le proprietà di autofluorescenza di questi composti e la possibilità di stimarne la presenza direttamente nel siero nativo, senza alcuna procedura di estrazione; iii) i molteplici attività di retinolo e di alcuni acidi grassi liberi e dei loro derivati (ad esempio gli eicosanoidi) come antiossidanti e/o mediatori di regolazione intrinseca o sistemica di risposte di difesa o di danno indotte da stress epatico.

Spettri di emissione di siero da ratti di controllo o sottoposti a ischemia e riperfusione (I/R) epatica e un esempio di analisi di fitting spettrale (siero di controllo, i vari fluorofori sono identificati dai colori). L’analisi di fitting ha permesso di stimare l’incremento del rapporto tra acido arachidonico e retinolo dal controllo (r = 0.58) all’I/R 60/60 min e 60/ 120 min, in accordo con la letteratura su  stress epatico e conseguente mobilizzazione di acidi grassi e produzione di derivati (eicosanoidi) attivi nella regolazione di infiammazione e danno epatico, a fronte di livelli stabili di retinolo.  

Sebbene l’analisi di fitting dell’ autofluorescenza del siero non fornisca dati strettamente quantitativi come la biochimica, produce comunque informazioni utili e promettenti per lo sviluppo di tecniche non invasive, in tempo reale e poco costose per ampliare i biomarcatori di  “pannelli” serici, utili a migliorare la conoscenza dei meccanismi patologici e fisiologici nell’induzione del danno epatico e a supporto della diagnosi della condizione funzionale del fegato in biomedicina e delle sue ricadute sul mantenimento dell’omeostasi metabolica sistemica.